E tu cosa sai fare?
Ci
sono cose che non so fare.
E
fin qua nulla di strano se non fosse che ciò comprende operazioni
che ognuno di noi svolge quotidianamente .
Fin
da quando ero bambino ho avuto problemi nell'allacciarmi le scarpe,
perché chi mi aveva insegnato a fare il nodo aveva oscurato
involontariamente, con il dorso della mano, il laccio della scarpa
mentre mi mostrava il passaggio del fiocco dentro l'anello che si
forma attorno all'indice.
Cosicché
negli anni ho sviluppato una mia tecnica personale non così distante
da quella originale, ma sostanzialmente diversa.
Ricordo
il giorno in cui in palestra, mentre mi allacciavo le scarpe, fui
interrotto dallo sguardo sbalordito di un signore paonazzo vestito di
solo asciugamano e appena uscito dalla sauna.
-
Perché ti allacci le scarpe in quel modo? Disse.
-
È l'unico che conosco.
-
Ma non è assolutamente così che si allacciano, ragazzi venite a
vedere!
In
pochi secondi l'intero spogliatoio si era radunato attorno a me per
fissare i miei piedi.
Ammetto
che in quell'occasione lo scudo della mia indifferenza fu penetrato
lasciando lacero l'orgoglio, per cui all'età di quasi trent'anni
dovetti chiedere a mia madre di mostrarmi come ci si allacciano le
scarpe.
Del
resto pensai che il nodo dovesse tenere la scarpa attaccate al piede,
che differenza faceva il nodo?
Un
altro problema era rifare il letto. Da quando sono entrato nell'età
adulta ho utilizzato letti Ikea, e ogni volta che si deve cambiare il
copri piumone è una tragedia. Dopo le prime prove ho capito che
farlo in due sarebbe stato molto più semplice ma, essendo da solo,
dovevo trovare un modo che mi permettesse di riuscire nell'impresa e
di non morire congelato in inverno.
I
primi tentativi mi vedevano infilato dentro la federa fino alle
caviglie, con gli angoli del piumone nelle due mani, strisciando come
un marines. Uscivo dalla sauna che si creava sudato per il calore e
per lo sforzo.
La
geniale idea fu poi quella di prendere un letto soppalcato, che oltre
alla fatica di dover cambiare le federe ad una certa altezza, ero
sicuro comportasse minore apporto d'ossigeno .
Un
mio amico che vive in Norvegia, durante una vacanza in Danimarca, mi
mostrò con un piumino a piazza singola che era davvero semplice
farlo entrare dentro la federa. Bastava rovesciarla, prenderne gli
angoli dall'interno con le mani e farli aderire a quelli del piumone,
poi con un colpo secco ribaltare il tutto e così si poteva avere un
letto perfetto in meno di due minuti.
Galvanizzato
dalla scoperta, appena tornai in Italia decisi di rifare il letto, ma
con grande rammarico capii che non era la mia tecnica precedente ad
essere sbagliata ma ero io a non riuscire a gestire un letto Ikea.
Molto
diplomaticamente mia madre commentò dicendo che forse non è stata
una buona idea comprare un letto soppalcato.
In
fondo non mi sono mai lasciato turbare troppo da queste mancanze,
anche perché sono convinto di colmare queste lacune con cose molto
più interessanti, ad esempio, suonando la chitarra. Se alle persone
crea disturbo un nodo sbagliato, a me crea disturbo che una persona
non sappia come fare un MI minore. In realtà non è vero, però mi
piacerebbe trovarmi nella condizione in cui, dentro allo spogliatoio
di una palestra, raduno tutte le persone davanti ad un signore
sudato,rosso e con la pancia dicendo ad alta voce che non sa fare un
MI minore, e dunque tutti a riunirsi attorno all'alieno.
Piegare
i vestiti è un'altra cosa che mi riesce a stento. Finché si tratta
di t-shirt riesco anche a cavarmela, ma già con una manica lunga
vado in crisi. E pensare che nel culmine della mia indipendenza ho
imparato a stirare, ma la piegatura è sempre rimasta una mia
difficoltà.
Quando
stendo le lavatrici provo a farlo nel miglior modo possibile, in modo
da poter poi riporre gli abiti nell'armadio senza sgualcirli troppo,
ma da quando convivo la realtà mi è stata sbattuta in faccia.
Camicette di materiali sconosciuti, pantaloni con pieghe assurde,
vestitini estivi, gonne.
Inizialmente
mi sono rimboccato le maniche e ho provato a ritirare la roba stesa e
riporla, ma, per quanto ci provassi i risultati erano penosi.
Dopo
tanto tempo speso inutilmente sono arrivato ad un accordo con Lisa,
la mia fidanzata: potevo ritirare la sua roba dallo
stenditoio, ma sarebbe stata
lei a ripiegarla e
riporla nell'armadio.
E
quindi arriviamo al nocciolo della faccenda. Non so se è una roba di
karma, ma il mio nuovo lavoro di quell'autunno Londinese consisteva
nel piegare vestiti e imbustarli in sacchi trasparenti. Per dieci ore
al giorno.
Tutto
questo in compagnia di due signorine, che mi limiterò a chiamare
MissV e MissZ.
A
prima vista mi sembrano brave ragazze . La prima, che è anche il mio
capo, è una ragazza della Lituania, paese che ho cercato su Google
maps alla prima scappata in bagno , mentre l'altra è della Bulgaria
credo.
MissV
è affabile, slanciata, con un sorriso enorme e gli occhi blu. Si
muove con l'eleganza dell'erba al vento e ha un tono di voce sempre
pacato.
MissZ
invece è piuttosto irrequieta, con gli occhi stanchi che le si fanno
sempre più piccoli man mano che la settimana passa, ha le guance
butterate da un acne tardiva. Con me ostentò subito una certa
difficoltà a parlare, causata dal lavorare ininterrottamente per tre
settimane di filato, senza nemmeno un giorno di pausa. Scoprii
in futuro che nella sua busta paga settimanale erano segnate circa
settanta ore di lavoro, sabato e domenica inclusi.
Per
dovere di cronaca c'era anche una terza signora che lavorava nel
reparto e che conobbi in un secondo momento, quando rientrò dalle
ferie che arbitrariamente aveva allungato di una settimana.
Nel
mio primo giorno di lavoro sono stato affiancato al capo di Lisa
(lavoravamo nella stessa ditta), anche
lei una ragazza
dell'est Europa che non sprecava sorrisi, dai tratti duri, temprata
dal freddo e dai piatti a base di patate.
Il
lavoro di per se consisteva nel piegare i vestiti, controllare che
corrispondessero all'ordine per poi inserirli dentro delle buste
trasparenti. Attaccare l'etichetta con la taglia e inserire il tutto,
assieme alla fattura, in una busta più grande grigia, corredata di
indirizzo e francobollo prepagato.
Data
la meccanicità delle operazioni, la velocità giocava un ruolo
fondamentale; le mie confezioni assomigliavano a dei palloni da rugby
sgonfi, inoltre impiegavo una quantità di tempo spropositata per
terminare un ordine. Visto che detesto essere ultimo, decisi di
ottimizzare al massimo ogni movimento per ridurre perdite di tempo.
Avevo
diviso le etichette con le taglie per frequenza di utilizzo, poi per
dimensione. Le buste di plastica trasparente a sinistra in modo da
rendere veloce l'inserimento del vestito, mentre le buste grandi
grige sulla destra,con già attaccato l'indirizzo del mittente. Il
rotolo dei francobolli prepagati di fronte a me, il cestino della
spazzatura parallelo alla mia gamba sinistra, le scorte del materiale
in quantità sotto il tavolo e il bicchiere dell'acqua vicino al
piede destro.
Con
qualche piccolo ritocco in una settimana avevo trovato l'assetto
ideale che colmava la mia incapacità di piegare bene e velocemente.
Nei
giorni con maggiori ordini veniva la capo settrice di Lisa a lavorare
nel tavolo di fronte a me.
Grazie
alla nuova disposizione adottata avevo una velocità praticamente
identica alla sua, inoltre lei si fermava a chiacchierare con MissV e
MissZ sistematicamente ogni due o tre ordini mentre io rimanevo a
testa china sui vestiti.
Finalmente
non ero più quello lento.
Dopo
qualche giorno dal mio arrivo, più per cortesia che altro, le due
ragazze iniziarono a farmi domande su dove fossi vissuto prima di
approdare in Inghilterra, quali posti avessi visitato e come occupavo
il mio tempo libero.
Parlai
loro della mia città, del tempo passato a suonare con la band e di
quello speso nei locali della notte bolognese, e il tempo passato a
progettare viaggi e ad ascoltare musica. Parlai di Parigi e della
Francia, dei Mojito sulla rambla, della musica elettronica di
Berlino. Della pizza di LA e dei vulcani delle Hawaii.
Quando
fu il turno di MissZ, lei mi parlò delle sue settanta ore a
settimana passate a lavorare, della sua camera tre metri per due, del
cibo precotto e di quello surgelato, e di quanto Londra fosse
costosa.
MissV
si limitò a dire che aveva visto solo la Lituania e Londra.
Come
dicevo l'arrivo della terza ragazza tardò di circa una settimana per
ragioni non chiare.
Quella
mattina arrivai presto a lavoro, MissV aveva chiesto di
anticipare l'entrata di un'ora ma non ne capii bene il motivo: in
quei giorni il lavoro era decisamente diminuito e la sera terminavamo
sempre tutti gli ordini.
Di
solito quando facevo le levatacce ero il secondo a presentarmi in
magazzino.
La
prima era sempre MissV che timbrava regolarmente alle 7.55 e poi si
chiudeva la porta di ingresso alle spalle per evitare visite
sgradite.
Quando
arrivavo all'entrata le facevo uno squillo con il cellulare e lei
veniva ad aprirmi.
Beh,
quella mattina , venne ad aprirmi con indosso una camicetta blu di
chiffon, con le maniche traforate da motivi floreali, stivali con
tacco alto, calze nere e dei pantaloncini di jeans cortissimi.
Passeggiando
per le strade di Londra ho scoperto che diverse ragazze utilizzano
quel modello di “shorts”.
La
differenza di questo modello è nel taglio della parte posteriore,
che comunemente accompagna la linea della natica con due mezze lune.
In
questa versione il taglio è completamente orizzontale, e lascia in
vista una percentuale non alta ma considerevole di sedere.
Il
tocco finale di MissV erano i capelli, che per la prima volta, da
quando lavoravamo assieme, vidi sciolti. Erano lunghi, di un naturale
biondo cenere, e le accarezzavano il viso toccando le gote per poi
posarsi sulle spalle.
Un
pensiero orrendo mi attraversò la testa: io
e la predatrice dell'ex unione soli in un magazzino
gigantesco, di primo mattino, lei dieci centimetri più alta di me.
Con un movimento liquido d'anca scivolai verso gli spogliatoi, i
sudori freddi sulla colonna vertebrale. Misi la testa fuori dalla
stanza controllando prima a destra e poi a sinistra che non mi avesse
seguito. Nel corridoio c'era un silenzio metallico, sgattaiolai verso
la macchina del caffè, o meglio, verso l'acqua calda e il caffè in
polvere.
L'effetto
della caffeina non tardò a farsi sentire, provocando gorgoglii
gutturali e un ulteriore sudorazione. Salii le scale con le gambe
svuotate , non capendo i passaggi che separavano la dolce e timida
ragazza delle nevi con i suoi maglioni oversize, da quella rapace
predatrice mattutina. A causa del caffè la prima cosa che feci
giunto sul posto di lavoro fu correre in bagno. Quando uscii vidi
MissV che intratteneva conversazione con quella che doveva essere la
reduce dalle ferie. Anch'essa dell'ex unione.
La
matrona russa si presentò vestita in maniera quanto meno
imbarazzante, con mocassini color terra secca, felpa sbottonata di
due taglie più grande, maglietta con lustrini e calzini bianchi con
una scritta rossa e nera che finiva sul collo del piede.
Entrò
nel mio campo visivo con la grazia di un pugile, altezza non
generosa, polsi grossi il doppio dei miei. Capelli biondi e stopposi,
occhi blu e spalle da divinità Maya.
Mi
aspettavo una stretta di mano stritolante ma rimasi deluso. Capii
presto perché la sua tecnica di impacchettamento era più rapida di
quella di chiunque altro lavorasse accanto a lei. Iniziò a spargere
i fogli delle etichette adesive a ventaglio, senza la minima logica,
prese accanto a se il rotolo dei francobolli, in modo che io dovessi
sdraiarmi sul tavolo verticalmente per poterlo raggiungere.
Fece
tante piccole pile di sacchetti trasparenti e di sacchetti grigi
mescolandoli tutti assieme, e più li utilizzava più si mescolavano.
Vidi
il mio piano di lavoro invaso in meno di cinque minuti da quel
piccolo tornado dell'est. Piegare i capi d'abbigliamento divenne
ancora più stremante .
Alla
fine risi, quando mi accorsi che un foglio di etichette si era
incollato sotto una scarpa.
Chinandomi
a prenderlo decisi che leggere la scritta sui calzini di Ivan Drago
fosse la priorità di quella giornata.
Calzini
così orribili dovevano avere una scritta altrettanto orribile.
Ogni
tentativo fu fallimentare e a fine giornata riuscii solo a leggere
qualcosa che interpretai come "city".
Indispettito
decisi di premere l'acceleratore con MissZ. Con voce suadente le
chiesi cosa avesse fatto durante il weekend.
Sapevo
che ormai era quasi un mese che lavorava ininterrottamente, e quello
appena passato era il primo weekend libero dopo tanto.
Lei
mi guardò con occhi rossi, dicendo che quel sabato si era svegliata
alle sette per friggere del pesce al fratello appena arrivato dalla
Bulgaria, e che aveva passato tutta la domenica a cercare una stanza
per lui.
Per
ostentata cortesia mi chiese che cosa avessi fatto io. Con occhi da
pazzo e frenesia quasi isterica le dissi del concerto del giovedì,
della cena al ristorante e del pranzo sul terrazzo, della notte
passata a bere con amici e poi a ballare fino alle quattro di notte
quando io e Lisa tornammo a casa un pò con l'autobus e un pò a
piedi, parlando incessantemente del futuro, di amore e nuove
avventure.
Parlai
di un altro concerto ancora, quello della sera prima.
Nei
giorni precedenti a esso non avevo avuto la forza di trascinare
nemmeno un osso al supermercato, per cui le provviste di cibo
scarseggiavano. Inoltre a quel concerto mi ero cibato solo di birra e
di una pizza minuscola divisa a metà, e non avevo nulla per la pausa
pranzo dell'indomani. Lisa mi disse che un collega solitamente andava
a comprare dei panini il venerdì, anche per gli altri colleghi, e
vista l'ora, vista la birra e la stanchezza decidemmo di affidarci a
lui per il giorno dopo.
Quando
MissZ scoprì che avevo chiesto il favore di farmi recapitare il
pranzo, si girò di scatto e iniziò a parlare con MissV
dell'indecenza della gente che approfittava del povero collega,
sfruttandolo solo perché era una persona troppo generosa e,
sottinteso, poco furba.
MissV,
che si limitava a sentire quel che le veniva riferito, portò un dito
alle labbra e le stirò gonfiando le guance a lato. Il suo sguardo
era serio ma non severo, trasmetteva come sempre armonia ed eleganza.
Alla fine del discorso appoggiò una mano sul tavolo e con l'altra
iniziò a tamburellare sulle labbra,inclinando diagonalmente il viso
e fissando il pavimento assorta.
Durante
la pausa pranzo scoprii che anche la capo reparto di Lisa si era
lamentata dell'accaduto; la guardai dal basso verso l'alto mentre
beveva il suo Mcflurry appena spillato.
Appena
salite le scale del magazzino vidi MissV venirmi incontro con dei
fogli in mano, i capelli nuovamente raccolti. Immaginai fosse li per
assegnarmi i compiti del pomeriggio. Sorrise, ma sembrava più
storcere la bocca. Mi guardò coi suoi occhi ariani, sempre belli e
profondi.
-
Era buono il pranzo? Chiese.
Tirai
fuori il mio miglior sorriso per le grandi occasioni
-
Delizioso, grazie.
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